STORIA DI UN EDIFICIO MAI NATO
di Nicola Pice
Nel 1927 il primo podestà Lorenzo Achille progettò e fece costruire nella piazza XX Settembre il mercato coperto. Quando la costruzione era quasi a metà, qualcuno propose che vi si installasse la casa del Balilla, ma il podestà, compiuto il periodo quinquennale assegnato alla carica, volle andarsene e donò al Comune con rogito del notaio Francesco Vacca un suolo per quest’altra costruzione. Si era nei primi degli anni trenta. La Gazzetta Ufficiale del 16 luglio 1932 pubblicava il Decreto del Ministro Giuliano con il quale l’Opera nazionale Balilla, poi trasformata in Gioventù italiana del littorio (GIL), veniva autorizzata ad accettare la donazione disposta a suo favore dal podestà. Si trattava di un appezzamento di forma poligonale di circa 5000 mq. incluso tra le vie Raffele Comes, Vito Acquafredda, Massimo D’Azeglio e una strada previsionale mai effettivamente realizzata.
Ciò che si doveva realizzare su tale lotto che era in asse tra l’edificio di scuola elementare, da costruirsi verso la fine dell’anno 1932, e la Villa comunale era la Casa del Balilla: durante il ventennio fascista le Case del Balilla erano dei luoghi istituzionali nei quali si formava moralmente e fisicamente il giovane italiano in nome degli ideali propugnati dal regime. L’organizzazione statale che si occupava di perseguire questi obiettivi era l’Opera Nazionale Balilla, peraltro ente proprietario di questi edifici, a cui era demandato il compito di curare l’educazione fisica e morale della gioventù italiana e di “formare la coscienza e il pensiero di coloro che saranno i fascisti di domani”. La busta del Fondo postunitario dell’Archivio Storico Comunale conservato presso la Fondazione De Palo-Ungaro contiene un’ampia documentazione sul progetto proposto per la Casa del Balilla a Bitonto.
Esso fu predisposto dall’ing. Mauro De Gennaro, lo stesso che con Ambrosi aveva progettato e andava realizzando l’edificio scolastico “Principe di Piemonte”, poi divenuto Scuola Elementare “N. Fornelli”. Il progetto di Mauro De Gennaro nell’ottobre del 1932 venne respinto dalla direzione dell’Ufficio Tecnico dell’Opera Nazionale Balilla (più nota come G.I.L.) perché “non rispondente alle direttive modernissime specie per l’architettura degli estremi, di carattere liberty e per l’impostazione planimetrica che segue schemi ormai sorpassati”.
Insomma, il progetto doveva necessariamente essere ispirato alle ultime Case del Balilla costruite e progettate. L’anno successivo l’ing. De Gennaro presentò una nuova reimpostazione del progetto, modificato nell’architettura della facciata per essere intonata alle disposizioni moderne, rinunciando ad ogni elemento di stile liberty e caratterizzandosi per la massima semplicità delle linee e delle decorazioni.
La pianta era orientata in modo da avere gli uffici con esposizione ad est, la biblioteca e la sala di scherma a sud, lo spogliatoio e i bagni a nord-ovest, la palestra coperta con tettoia di capriate leggere di tavole e manto di lastre di eternit a nord. Nella palestra scoperta, pavimentata con mattonelle di asfalto, era prevista la costruzione di un palcoscenico per le proiezioni cinematografiche e per le rappresentazioni teatrali.
Questa volta fu approvato, come riferito dall’ing. Mastromatteo del Ministero dell’Aeronautica in una nota del 7 maggio 1933 allo stesso progettista, ma non si trovarono gli adeguati finanziamenti di 100.000 lire da parte del Comune e di 140.000 lire da parte dello Stato, così finì per essere definitivamente accantonato.
Intanto nel 1934 diviene, all’età di soli ventisette anni, diventava architetto capo dell’Opera Nazionale Balilla, con responsabilità di progettazione e di controllo nazionale, Luigi Moretti (1907-1973), uno dei più grandi architetti italiani del ‘900, artefice di opere importanti, complesse e visibili in tutto il mondo, tra cui la Casa delle Armi, la Palestra del Duce e la Palazzina del Girasole a Roma, e poi le terme di Bonifacio VIII a Fiuggi, il santuario a Tagbha sul Lago di Tiberiade, la splendida chiesa Sancta Mater Ecclesiae nel quartiere romano di Decima, i cui valori iconici e spaziali sono ancor oggi oggetto di grande ammirazione. In quegli anni del trentennio l’architettura si impiantò come arte sociale e quindi si pose al servizio dell’ideologia fascista con l’obiettivo di consolidare il consenso al regime. La scelta di dotare le città di edifici a servizio dei cittadini rafforzava l’idea di ‘Stato etico’, per cui balilla e avanguardisti furono sottoposti al più ampio esperimento di educazione di Stato che l’Italia abbia conosciuto. Nel giro di un decennio furono costruite centinaia di case del Balilla, caratterizzate dalle sovrapposizioni di volumi e di reticoli spaziali, grandi vetrate e notevoli apparati decorativi. Una volta nominato, Moretti, che aveva già una sua poetica e una cifra linguistica di alto livello, avoca a sé i diversi progetti di edifici ONB sparsi per l’Italia, molti dei quali irrisolti o bloccati a causa di beghe o vizi di vario tipo. Dunque, realizzò le case della Gioventù a Roma, Piacenza, Trecate e Urbino, la casa della Gioventù femminile a Piacenza, la citata Casa delle Armi al Foro italico, e si dispose a progettare anche la Casa del Balilla di Bitonto. La documentazione dell’intero progetto, conservata presso l’Archivio Centrale dello Stato (Archivi di Architetti e Ingegneri, Fondo Luigi Moretti, Opere e Progetti 1930-1975, segnatura 1936/45), è stata oggetto di un interessante studio recentemente dal prof. Salvatore Damiano dell’Università di Palermo sul numero 3/2020 dei Quaderni di Architettura e Design del Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura del Politecnico di Bari. Da tale studio desumiamo le principali specificità del progetto morettiano, rinviando allo stesso i necessari approfondimenti. Luigi Moretti progetta un edificio di dimensioni sostanzialmente contenute, composto da due corpi di fabbrica strutturalmente indipendenti e di pari altezza, disposti l’uno accanto all’altro in senso longitudinale e collegati da un piccolo spazio vetrato a valere come passaggio coperto.
Nel piano seminterrato erano realizzati gli spogliatoi e le docce destinate agli allievi. Il fronte anteriore dell’edificio presenta elementi espressivi radicalmente diversi per i due corpi: la palestra ha una cortina muraria compatta, priva di aperture, su cui è riportata una iscrizione a caratteri cubitali, mentre l’altro volume che si compone di due elevazioni presenta aperture allineate ad asse prevalente verticale, ognuna delle quali separata dall’altra da setti murari aggettanti e regolarmente intervallati. Elementi di specificità sono l’uso della pietra a spacco, le fenditure verticali dei muri d’ambito, le modanature pure verticali aggettanti e ripetute, che producono grandi effetti di luce e ombra. Al centro del prospetto si apre il grande portale d’ingresso incorniciato da due filari di conci lapidei grezzi, sempre a sbalzo, in cui si incassano grandi ante a battente in ferro e vetro. Simmetricamente ben disposti gli interni: l’ingresso, con la sua rampa di gradini; l’atrio centrale nel quale è collocato il sacrario, probabile eco del recinto sacro imperiale romano, al cui interno Moretti prevede la realizzazione di opere d’arte parietali, quali bassorilievi o pitture, a tema bellico; a destra, le due aperture distinte che conducono rispettivamente in biblioteca e in un piccolo spazio dedicato a spogliatoi e servizi; mentre, a sinistra due porte identiche portano al comando legione e al vano scala; dal comando legione si può giungere, attraverso il passaggio coperto vetrato, alla palestra, accessibile anche dall’esterno.
Le scale conducono sia al piano seminterrato, uno spazio destinato alle docce, agli spogliatoi, ai servizi e a deposito, sia al primo piano ove sono ubicati gli uffici, in un’avveniristica – per l’epoca – modalità di spazio aperto, oltre che i servizi igienici, incolonnati con quelli del piano inferiore. Si sceglieva l’utilizzo di uno dei più tradizionali dei sistemi costruttivi, ovvero quello in muratura continua ordinaria. Non è facile avanzare ipotesi sulle motivazioni della scelta operata da Moretti, dovuta forse alla limitata dimensione complessiva della costruzione e alla possibilità di usare manodopera non particolarmente formata. Non del tutto improbabile che tale scelta potesse essere una sorta di ‘tributo’ alle tradizioni costruttive locali, che prevedevano l’impiego diffuso della pietra calcarea, così come l’impiego del tetto spiovente sembra voler evocare il tipico trullo pugliese.
Dunque, come ben sottolinea nel suo accurato studio il prof. Damiano “la Casa del Balilla di Bitonto, malgrado la dimensione limitata e quella modestia solo apparente, è stata concepita secondo un “progetto dello spazio” tipicamente ‘morettiano’, dimostrando pertanto, almeno sotto questo punto di vista, di avere poco da invidiare alle ben più note case nella Capitale o agli altri edifici ONB dell’architetto romano sparsi per il Belpaese. … In un ‘piccolo’ progetto destinato ad un centro minore del Sud Italia, un grande architetto come Luigi Moretti seppe anticipare, sebbene in forma primigenia, tutta una serie di tematiche che sarebbero diventate veri e propri tratti distintivi della sua azione progettuale, soprattutto del dopoguerra”.
Purtroppo, sicuramente per le solite beghe paesane, questo progetto rimase nei cassetti. Difatti il Comune non costruì nel 1936 né poi. Qualche anno più tardi il Commissario della G.I. (l’ex G.I.L.) vendette il suolo.